Premessa: il Referendum Abrogativo e la democrazia diretta
Domenica 12 giugno, i cittadini italiani sono chiamati ad esprimere il proprio voto in merito al c.d. “Referendum Giustizia”, ovvero il Referendum abrogativo composto da 5 quesiti aventi ad oggetto il sistema giudiziario.
Il Referendum Abrogativo, delineato dall’art. 75 della Costituzione, rappresenta un’occasione importante quanto rara di espressione di democrazia diretta da parte dei cittadini italiani, dunque del popolo di esercitare direttamente, senza il tramite delle rappresentanze politiche, la sovranità che gli “appartiene” ai sensi dell’art. 1 della Carta Costituzionale.
Un ulteriore esempio di esercizio della democrazia diretta è costituito, come noto, dal Referendum c.d. “Costituzionale” o “confermativo” (art. 138 Cost.) il quale, capovolgendo l’impostazione di quello abrogativo (art. 75 Cost.) che chiede agli italiani di esprimere un Sì o un NO in merito all’eliminazione dall’ordinamento di alcune leggi, norme o parti di esse, invoca la sovranità popolare ad indicare un Sì oppure un NO per confermare le stesse; per la validità del Referendum confermativo, inoltre, non sono richiesti quorum, a differenza invece di quello che si terrà domenica 12 giugno.
Il quorum della maggioranza degli aventi diritto di voto, previsto ai fini della validità del Referendum abrogativo, ha appunto ridimensionato il successo concreto dell’istituto, specie a partire dalla seconda metà degli anni ‘90: dal 1997 all’11.06.2022, infatti, soltanto in un’unica occasione delle 8 disponibili è stato raggiunto il requisito di validità dei Referendum, il che ha comportato la salvezza di 24 misure su 25 che, altrimenti, sarebbero state abrogate per volontà popolare, tradita tuttavia dall’insufficiente affluenza alle urne.
Il Referendum di domenica 12 giugno ha ad oggetto 5 aspetti dell’ordinamento giudiziario che spaziano dall’ambito delle misure cautelari a quello della valutazione e della carriera dei magistrati, passando dalla Riforma del CSM (Consiglio Superiore della Magistratura) per arrivare alla legge Severino sull’incandidabilità e ineleggibilità di parlamentari e amministratori locali che abbiano subito dei procedimenti penali per determinati e più gravi reati.
Ben tre dei suddetti quesiti sono inoltre relativi a misure e aspetti contemplati dalla proposta di riforma del sistema giudiziario, che attende prestissimo di essere discussa in Senato, dopo il passaggio alla Camera, ove ha ricevuto altresì il voto della Lega che figura al contempo tra i promotori del Referendum prossimo.
IL Ministero dell’Interno ha messo a disposizione degli elettori un’apposita pagina del proprio sito web, che fornisce informazioni utili in merito alle modalità di svolgimento delle elezioni e di espressione del voto, senza tuttavia addentrarsi nel merito delle questioni referendarie, obiettivo invece del presente e dei prossimi approfondimenti.
SLS – Studio Legale Sodo ritiene infatti che l’opera di difesa e sensibilizzazione costituzionale sia insita nella professione di avvocato e della relativa funzione, costituzionalmente garantita, di tutela dei «diritti e interessi legittimi», la cui difesa «è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento» (art. 24 Cost.).
Quesito n. 1 – Scheda rossa – Abrogazione delle “Legge Severino”
Il primo quesito, contenuto da una scheda di colore rossa, è relativo alla possibilità, offerta agli italiani tramite l’espressione di un Sì, di eliminare dall’ordinamento la c.d. “Legge Severino” (dal nome del Ministro della Giustizia all’epoca della sua promulgazione nel 2012), che regolamenta i requisiti di candidabilità, eleggibilità e decadenza automatica dei rappresentanti politici e amministrativi, di governo sia nazionale che locale, in caso di sottoposizione a procedimenti penali per reati particolarmente gravi.
Più nello specifico, la disciplina attuale prevede l’inibizione alla candidatura e la decadenza automatica, anche in costanza di mandato, di parlamentari, rappresentanti europei e membri del governo condannati in via definitiva ad una pena di durata superiore a due anni, per reati di mafia, terrorismo o contro la pubblica amministrazione per i quali siano previste pene superiori a 4 anni, mentre per gli amministratori locali è stabilita l’incandidabilità grossomodo nelle stesse ipotesi, cui si aggiunge il caso di chi abbia riportato una condanna definitiva di oltre due anni per delitti non colposi, oltre alla decadenza e alla sospensione fissate in caso di condanna non definitiva, quale quella che interviene in primo grado, per le stesse fattispecie.
Con l’abrogazione della legge, il giudizio in merito alla sospensione, incandidabilità o decadenza del ruolo e, in generale, l’interdizione dai pubblici uffici resterebbe sottratto a meccanismi automatici e affidato dunque alla discrezionalità del giudice.
Votando Sì, e pronunciandosi quindi a favore dell’abrogazione della L. n. 235 del 31.12.2012, si acconsente all’incandidabilità dei soggetti sottoposti a simili procedimenti di natura penale, col rischio che il reato, già di per sé grave, venga protratto o reiterato per di più profittando di una posizione di rilievo politico o amministrativo.
Votando NO, invece, si mantiene in vigore la disciplina in vigore, e resta dunque inaccessibile l’accesso alle candidature di natura politica e amministrativa alle persone coinvolte da tali processi, con il rischio di danneggiare coloro che dovessero poi risultare in un secondo momento innocenti, il che esporrebbe lo Stato ad un cospicuo risarcimento del danno, come spesso avvenuto.
Quesito n. 2 – Scheda arancione – Limitazione delle misure cautelari
Il secondo quesito, contenuto da una scheda di colore arancione, attiene all’abrogazione dal nostro ordinamento del pericolo della reiterazione del reato quale presupposto per la sottoposizione alle misure cautelari della carcerazione e degli arresti domiciliari, limitatamente ad alcune fattispecie criminose.
La disciplina attuale prevede la facoltà di imporre, già durante le fasi istruttorie e dunque prima del processo, in via meramente cautelare, le misure dell’arresto e dei domiciliari, per reati quali lo stalking o altri di analoga gravità.
Con l’abrogazione della legge, le stesse misure cautelari resterebbero invece attivabili soltanto per i delitti più esecrabili, quali quelli commessi con armi o relativi alla criminalità organizzata.
Votando Sì, e pronunciandosi quindi a favore dell’abrogazione parziale dell’art. 274, comma 1, lett. c) c.p.p., si manifesta la volontà di circoscrivere le misure cautelari della detenzione in carcere e degli arresti domiciliari, motivate dal pericolo di reiterazione del reato, soltanto alle fattispecie criminose più gravi.
Votando NO, invece, si mantiene in vigore la disciplina in vigore, e le misure cautelari della detenzione in carcere e degli arresti domiciliari, motivate dal pericolo di reiterazione del reato, restano quindi attivabili anche a fronte di delitti meno gravi.
Quesito n. 3 – Scheda gialla – Separazione delle funzioni dei magistrati
Il terzo quesito, contenuto da una scheda di colore gialla, affronta la possibilità offerta ai magistrati di passare dalla funzione requirente del Pubblico Ministero e quella giudicante e viceversa, oggi ammessa fino ad un massimo di 4 volte nell’arco di tutta la propria carriera professionale, e che gli italiani possono invece trasformare in una scelta irreversibile da effettuare durante i primi anni di carriera.
Se da una parte, con l’eliminazione del passaggio di funzioni, si darebbe ascolto alle istanze di chi sostiene che ciò possa essere garanzia di maggiore terzietà e imparzialità nei procedimenti, altrimenti minate dalla possibile confusione, sebbene non contemporanea, di ambedue le funzioni in un unico soggetto, dall’altro lato, il NO all’abrogazione e quindi la conservazione di tale opzione è patrocinata con altrettanto vigore da chi ritiene che il pericolo di conflitto di interessi non sia così ricorrente, oltre che diversamente e più efficacemente risolvibile, e che inoltre la preclusione all’adempimento di diverse funzioni rischi di isolare la classe dei PM e di depauperare e limitare lo scambio di conoscenze e competenze e dunque l’accrescimento generale di professionalità.
Votando Sì, e pronunciandosi quindi a favore dell’«abrogazione delle norme in materia di ordinamento giudiziario che consentono il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa nella carriera dei magistrati», si manifesta lo sfavore nei confronti del passaggio di funzioni, che da opzione concessa fino ad un massimo di 4 volte nell’arco della carriera si riduce ad un obbligo di scelta che si colloca all’inizio della stessa.
Votando NO, invece, e salvando così le norme attualmente in vigore, si manifesta il favore per la regola del passaggio di funzioni, che resta invariata nella forma di opzione esercitabile fino ad un massimo di 4 volte durante la vita professionale del magistrato.
N.B.: Il disegno di legge di modifica dell’ordinamento giudiziario intende intervenire in ogni caso sulla previsione oggetto di attenzione referendaria, senza eliminare il passaggio di funzioni, ma circoscrivendolo temporalmente alla prima fase della carriera professionale.
Quesito n. 4 – Scheda grigia – Valutazione dei magistrati
Il quarto quesito, contenuto da una scheda di colore grigia, ha ad oggetto la possibilità che i magistrati vengano valutati anche dai c.d. membri “laici”, ovvero avvocati e professori universitari nell’ambito dei consigli giudiziari, e dunque non soltanto da parte dei magistrati stessi.
I consigli giudiziari sono degli organi locali, presenti in ogni distretto territoriale, presso i quali è esercitata altresì la funzione di valutazione dei magistrati, utile ai fini delle promozioni di anzianità e di stipendio, ma ad oggi limitata ai soli membri togati, con esclusione di ogni forma di partecipazione a favore di quelli laici, attualmente esclusi altresì dalla possibilità di partecipare alle relative sedute.
La corrente favorevole all’abrogazione e dunque all’introduzione del diritto di voto a favore di avvocati e professori universitari insiste sulla necessità di una valutazione esterna della magistratura, onde scongiurare il rischio di giudizi eccessivamente positivi, spesso nei fatti concretizzatosi, mentre chi è contrario alla modifica delle attuali regole fa leva sull’esigenza di evitare il pericolo, specie nei distretti minori, di soggezione dei magistrati valutati rispetto agli avvocati valutatori durante i processi giudiziari, minando la terzietà e imparzialità del giudizio stesso.
Votando Sì, e pronunciandosi quindi a favore della modifica delle vigenti norme in materia di valutazione dei magistrati e composizione e competenze dei relativi Consigli, si esprime la preferenza per l’assegnazione anche ai membri laici dei suddetti consigli di partecipare e valutare coloro che esercitano le funzioni giurisdizionali.
Votando NO, invece, e mantenendo quindi invariata l’attuale disciplina, si esprime la volontà di escludere avvocati e professori universitari dalla valutazione dei magistrati, che resterebbe dunque appannaggio della magistratura stessa.
N.B.: Il disegno di legge di modifica dell’ordinamento giudiziario ha ad oggetto anche questa disciplina, nel cui ambito propone non l’introduzione del voto “secco” dei membri laici, ma quello “unitario” dell’avvocatura, onde scongiurare il rischio di personalismi e forme di soggezione tra magistrati e legali.
Quesito n. 5 – Scheda verde – Riforma del CSM (Consiglio Superiore della Magistratura)
Il quinto quesito, contenuto da una scheda di colore verde, riguarda invece le norme che regolano la candidatura, da parte dei magistrati, a consigliere togato del CSM (Consiglio Superiore della Magistratura), organo presieduto dal Presidente della Repubblica (artt. 87 e 104 Cost.) e al quale «spettano (…) le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati» (art. 105 Cost.).
Le norme oggetto del quesito n. 5 ammettono attualmente all’elettorato passivo per consigliere togato del CSM soltanto chi abbia presentato un numero di firme a sostegno del proprio nome non inferiore a 25, soglia di accesso stabilita per garantire un minimo di rappresentatività ai candidati, e non superiore a 50, limite massimo volto invece ad evitare la formazione di correnti eccessivamente forti e dunque di “oligopoli” rappresentativi. La platea degli elettori si compone di circa 9 mila magistrati.
I sostenitori del Sì, e dunque dell’abrogazione della regola delle firme, evidenziano la necessità di alleggerire e facilitare, specie per chi proviene dai distretti meno numerosi, il processo di candidatura a membro togato del CSM, con ciò ponendo un argine al condizionamento delle “correnti” durante questa delicata fase, certamente più agevole per i candidati iscritti ai gruppi associativi della classe giudicante; chi sposa la causa del NO, invece, sottolinea l’utilità del “sistema delle firme” quale filtro iniziale delle candidature.
Votando Sì, e pronunciandosi quindi a favore della modifica delle vigenti norme in materia di candidatura al ruolo di consigliere togato del CSM, si acconsente ad ammettere la candidatura senza necessità di presentare alcuna firma a supporto della stessa.
Votando NO, invece, e conservando quindi le attuali regole, si esprime la volontà di consentire la candidatura a componente togato del CSM soltanto ai magistrati che abbiano presentato un numero di firme a sostegno del proprio nome tra le 25 e le 50 unità.
N.B.: Il disegno di legge di modifica dell’ordinamento giudiziario investe anche tale ultimo aspetto, suggerendo l’eliminazione del “sistema delle firme”.