Corte di Appello di Bari – Sezione Lavoro – Sentenza del 09.04.2021
La Corte di Appello di Bari – Sezione Lavoro – ha statuito che “l’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo di quella che ai lavoratori di un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale (c.d. “minimale contributivo”), secondo il riferimento ad essi fatto – con esclusiva incidenza sul rapporto previdenziale – dal D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, art. 1 (convertito in L. 7 dicembre 1989, n. 389), senza le limitazioni derivanti dall’applicazione dei criteri di cui all’art. 36 Cost. (c.d. “minimo retributivo costituzionale”), che sono rilevanti solo quando a detti contratti si ricorre con incidenza sul distinto rapporto di lavoro ai fini della determinazione della giusta retribuzione (v. ex aliis Cass. n. 801 del 20/01/2012)”.
Secondo I Giudici baresi, infatti, questa regola deriva dal principio di autonomia del rapporto contributivo rispetto alle vicende dell’obbligazione retributiva, ben potendo l’obbligo contributivo essere parametrato a importo superiore a quanto effettivamente corrisposto dal datore di lavoro e la stessa opera sia con riferimento all’ammontare della retribuzione c.d. contributiva, che con riferimento all’orario di lavoro da prendere a parametro, dovendo essere questo quello normale stabilito dalla contrattazione collettiva o dal contratto individuale se superiore.
Con questa interessante pronuncia la Corte di Appello di Bari, nell’aver confermato la legittimità, nel caso trattato, del verbale di accertamento ispettivo con il quale l’INPS ingiungeva al datore di lavoro il versamento dei contributi integrativi dallo stesso non corrisposti a fronte delle numerose assenze dal servizio della lavoratrice interessata, ha correttamente evidenziato come, fatte salve soltanto le eventuali ipotesi di non svolgimento della prestazione lavorativa per cause previste dalla legge o dal contratto collettivo (malattia, maternità, infortunio, aspettativa, permessi, cassa integrazione), debba essere sempre rispettato il principio del “minimale contributivo” di cui alla Legge n. 389 del 1989 art. 1 a maggior ragione quando l’assenza dal servizio o, comunque, la sospensione della prestazione di lavoro siano state semplicemente concordate dalle parti e siano, pertanto, frutto di un libero accordo tra di loro. Secondo I Giudici baresi, peraltro, l’applicazione, doverosa, di questa regola determina anche, come suo logico e naturale corollario, il fatto che l’orario di lavoro minimo stabilito dai contratti collettivi o individuali venga sempre rispettato. La conclusione dunque cui essi pervengono è quella, giustamente, di una stretta correlazione statistica tra ore di lavoro prestate e retribuite secondo contratto e contributi previdenziali corrisposti, dal momento che se le ore retribuite sono meno di quelle previste dal normale orario di lavoro e si dovesse quindi calcolare su di esse la relativa contribuzione, si violerebbe la regola del “minimale contributivo” espressamente stabilita per legge. Su quest’ultimo, pertanto, secondo la Corte pugliese non vi è alcuna possibilità per le parti del rapporto di lavoro di incidere attraverso propri accordi individuali di sospensione consensuale della prestazione lavorativa.