Tribunale di Roma – Sezione Lavoro – Sentenza n. 3487 del 03.04.2023
In caso di svolgimento di attività extra-lavorative in costanza di una assenza dal lavoro per malattia, a maggior ragione se perdurante nel tempo, l’oggetto dell’addebito, tale da giustificare il licenziamento per giusta causa del dipendente, non è tanto, o comunque soltanto, l’aver tenuto condotte potenzialmente idonee ad aggravare o a prolungare la malattia, quanto piuttosto l’esibizione senza remore sui social network di tali attività in ambiti del tutto estranei a quelli aziendali, nonché di attività ludico ricreativa e del connesso stato di benessere e soddisfazione, a nulla rilevando, sotto il profilo probatorio, quando siano state realizzate le foto ed i video postati.
I Giudici capitolini, in particolare, nel legittimare pienamente la decisione della parte datoriale di recedere per giusta causa dal rapporto di lavoro con il proprio dipendente, soffermano la propria attenzione sul grave discredito che la pubblicizzazione indiscriminata di tale attività extra-lavorativa operata sui social media determina in capo all’azienda.
Più esattamente, il Tribunale, in maniera corretta e certamente condivisibile, sottolinea come i doveri di diligenza di cui all’art. 2104 c.c., di fedeltà ex art. 2105 c.c. e, più in generale, di correttezza e buona fede prescritto dagli artt. 1175 e 1375 c.c., che legano il dipendente al proprio datore di lavoro, si protraggano anche durante la malattia, così che lo stesso non possa porre in essere comportamenti che risultino offensivi o denigratori dell’immagine del datore di lavoro.
Secondo il Tribunale, quindi, l’accertato svolgimento di attività extra-lavorativa durante il periodo di malattia, nel caso di specie consistito nel farsi vedere sui social con post, foto e video, e nel rilasciare interviste, il tutto per promuovere la pubblicazione di un proprio libro ed in generale la propria attività di networker professionista, esternando felicità, soddisfazione, benessere, non può che ritenersi contrastante con gli obblighi di correttezza, lealtà e diligenza gravanti sul prestatore di lavoro, in quanto idoneo a determinare sospetto e disagio negli altri dipendenti, oltre che in coloro che sono comunque a conoscenza della contestuale, perdurante assenza per malattia del lavoratore e, per l’effetto, tale da ledere gravemente l’immagine della datrice di lavoro.
Giustamente, dunque, tale condotta è stata ritenuta idonea a giustificare la compromissione del vincolo fiduciario tra le parti come denunciata dal datore di lavoro ed il conseguente recesso per giusta causa di quest’ultimo, considerato, peraltro, che la compromissione della fiducia tra le parti può collegarsi anche a condotte poste in essere dal dipendente fuori dell’ambito lavorativo, che siano tali da ledere gli interessi datoriali.