Tribunale di Roma – Sentenza n. 6456 del 24.04.2023
In materia di reati perpetrati a mezzo stampa, i messaggi che circolano attraverso le nuove “forme di comunicazione”, ove inoltrati non ad una moltitudine indistinta di persone ma unicamente agli iscritti ad un determinato gruppo, come appunto in circuiti chiusi, devono essere considerati alla stregua della corrispondenza privata, chiusa e inviolabile; tale caratteristica, logicamente, è incompatibile con i requisiti propri della condotta diffamatoria, anche intesa in senso lato, che presuppone la destinazione delle comunicazioni alla divulgazione nell’ambiente sociale.
Il Tribunale di Roma detta quindi un fondamentale principio di diritto nell’individuare condotte offensive e potenzialmente diffamatorie operate attraverso l’utilizzo dei moderni sistemi di comunicazione informatica e precisa, in maniera quanto mai opportuna, il criterio di fondo secondo il quale, appunto, una eventuale divulgazione di dati, notizie ed accadimenti ritenuti lesivi della onorabilità possa assurgere a fatto di reato commesso a mezzo stampa.
In particolare, infatti, i Giudici romani, nel decidere preliminarmente in merito all’eccezione pregiudiziale sollevata dalla parte convenuta avente ad oggetto l’omesso preventivo esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria ex lege da parte dell’attrice ai sensi dell’art. 5 comma 1 D. Lgs. 4 marzo 2010 n. 28, hanno opportunamente precisato come il legislatore, consapevole dei progressi della tecnica, abbia inserito il riferimento ad “altro mezzo di pubblicità” al fine di ricomprendere ogni ulteriore tipologia di trasmissione dell’informazione che, come la stampa, abbia la capacità di raggiungere una platea indistinta di destinatari.
Giustamente, pertanto, il Tribunale rammenta come anche la giurisprudenza abbia ricondotto alla categoria degli “altri mezzi di pubblicità” i nuovi strumenti di comunicazione di massa quali blog, social network e giornali online, quali strumenti e mezzi diffusivi di notizie a mezzo internet, e come gli stessi siano stati equiparati alla stampa tradizionale in quanto capaci di indirizzare i propri contenuti ad un numero potenzialmente indeterminato di persone.
Allo stesso modo, però, i Giudici romani hanno evidenziato che qualora tali notizie asseritamente diffamatorie siano indirizzate non ad una platea indistinta di destinatari, ma ad un pubblico circoscritto e definito di addetti ai lavori e di appartenenti a ben individuati gruppi e/o categorie selezionate dal soggetto mittente, le stesse non possono che essere considerate alla stregua della corrispondenza privata, chiusa e inviolabile, a nulla rilevando il numero più o meno ampio dei loro destinatari.
Tale conclusione, dunque, rende la condotta in questione di per sé logicamente incompatibile con i requisiti propri della diffamazione, anche intesa in senso lato, che presuppone la destinazione delle comunicazioni alla divulgazione nell’ambiente sociale, assumendo piuttosto un carattere che il mittente ha esplicitamente inteso privato e riservato, circoscritto ad un ambiente ad accesso limitato, con dichiarata esclusione della possibilità che quanto detto in questa sede possa mai essere veicolato all’esterno, sì da escludere, appunto, qualsivoglia intento o idonea modalità di diffusione denigratoria.