Cassazione Civile – Sez. Lavoro – Sentenza n. 10802 del 21 aprile 2023
Il licenziamento tardivo, comunicato cioè oltre il termine stabilito dalla contrattazione collettiva, non sempre è affetto da nullità: lo ribadisce la Corte di Cassazione all’esito di una complessa vicenda scaturita dall’impugnazione, da parte della lavoratrice, del licenziamento trasmesso con lettera raccomandata con 10 giorni di ritardo rispetto alla scadenza del termine stabilito dal CCNL di riferimento.
Nell’ambito del licenziamento per motivi disciplinari, più esattamente, gli Ermellini, riprendendo i propri precedenti, distinguono le conseguenze del mancato rispetto dei termini stabiliti a seconda che il ritardo consista in una mera violazione formale delle regole procedurali o, invece, sia tale da ritenersi “notevole e non giustificato”.
Soltanto in questo secondo caso, infatti, il licenziamento intimato all’esito dell’irregolare iter procedimentale potrà essere affetto da nullità, dal momento che solo in tale seconda evenienza la trasgressione della disciplina procedurale costituisce effettivamente una lesione sostanziale del principio generale della tempestività della contestazione e, dunque, del diritto di difesa del lavoratore.
Nel caso sottoposto invece all’attenzione della Corte, il mero superamento del termine contrattuale entro cui spedire la lettera di licenziamento, pur rappresentando un vizio dell’iter procedurale come tale non esente da conseguenze giuridiche, non incide sull’esistenza della procedura di contestazione stessa, motivo per il quale deve alla fattispecie in questione applicarsi la tutela indennitaria debole di cui al comma 6 dell’art. 18 Statuto dei Lavoratori (L. n. 300 del 20 maggio 1970) e non invece quella reale della reintegrazione sul posto di lavoro (comma 4), né tantomeno quella obbligatoria forte cui Cass., Sez. Unite, Sent. n. 30985/2017 riconduce l’ipotesi del ritardo “notevole e non giustificato”.
Diversamente sarebbe invece avvenuto a fronte di violazione procedurali di maggiore gravità, quali l’assenza di contestazione disciplinare dell’addebito, che avrebbe reso inesistente l’intera procedura di contestazione e avrebbe quindi potuto giustificare l’applicazione della più severa sanzione della reintegrazione del dipendente licenziato, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite.
La ricostruzione offerta dalla Corte di Cassazione, in definitiva, rispecchia fedelmente l’ordinamento giuridico, come modellato dalla sua stessa giurisprudenza, in materia di licenziamenti disciplinari irregolari, incentrato sulla distinzione tra violazioni procedurali meramente formali e violazioni che, benchè di natura procedurale, siano comunque tali da integrare una lesione sostanziale dei diritti del lavoratore, come appunto l’assenza tout court della contestazione disciplinare o, ancora, un “ritardo notevole e non giustificato” della censura stessa o della intimazione del licenziamento.
Resta tuttavia controversa la posizione di tale seconda violazione, dalle stesse Sezioni Unite considerata un vizio procedurale di natura sostanziale ma, ciò nonostante, ricondotta nel regime della tutela indennitaria, sebbene nella versione rinforzata.