Tribunale di Milano – Sezione Prima – Sentenza n. 1647 del 03.03.2023
La cancellazione o rimozione di un contenuto web ritenuto lesivo, a differenza della sua deindicizzazione, implica la sua definitiva eliminazione dall’archivio – sorgente e l’impossibilità, quindi, di reperirla tramite qualsiasi motore di ricerca.
Tali “registri”, infatti, immagazzinano informazioni, ma sono gestiti da singoli utenti o, nel caso in cui contengano pubblicazioni giornalistiche, dalle relative testate online, per cui rispetto ai contenuti immessi negli stessi archivi sorgente il motore di ricerca riveste il ruolo di mero intermediario, non potendo perciò essere ritenuto titolare del potere di rimozione definitiva della pubblicazione.
Con questa recente pronuncia, il Tribunale di Milano interviene efficacemente per individuare, in maniera corretta, il soggetto effettivamente destinatario della eventuale richiesta di cancellazione di una notizia informatica ritenuta lesiva e lo fa, anzitutto, distinguendo questa tipologia di istanza rispetto a quella di deindicizzazione del contenuto stesso.
Secondo i Giudici milanesi, infatti, per “deindicizzazione” o “delisting” deve intendersi la differente operazione con cui il gestore di un motore di ricerca sopprima dall’elenco dei risultati che appaiano nel medesimo gli URL che rinviano a specifiche informazioni sul conto del soggetto interessato, con ciò escludendo la possibilità che il nome del medesimo compaia tra i primi esiti proposti dal motore di ricerca a fronte di una interrogazione dello stesso.
In questo modo, quindi, il contenuto oggetto di deindicizzazione rimane presente in rete e continua ad essere raggiungibile, sebbene tramite una ricerca più complessa e più lunga rispetto a quella necessaria a trovare una informazione indicizzata, mentre in caso di sua rimozione l’effetto “distruttivo” del contenuto stesso dalla rete è totale e non più recuperabile.
Il Tribunale, pertanto, precisa come in quest’ultimo caso il motore di ricerca rivesta il ruolo di mero intermediario poiché esso si limita a rendere accessibili sul sito web i dati dei c.d. siti sorgente, assolvendo ad un’attività di mero trasporto delle informazioni, offrendo in tal modo unicamente un sistema automatico di reperimento di dati e informazioni attraverso parole chiave e, quindi, un più agevole accesso agli utenti per la relativa consultazione, senza alcuna titolarità in ordine alla gestione dell’archivio nel quale detti dati ed informazioni sono effettivamente contenuti.
Come possiamo vedere, quindi, non si tratta di una precisazione di poco conto poiché intorno alla diversa qualificazione giuridica del soggetto “manipolatore” o “gestore” dei dati ruota la complessa e delicata problematica della tutela della persona, con tutte le conseguenze a questa connesse in caso di commissione di un reato a mezzo stampa, come ben messo in luce dalla sentenza oggi in commento.