Tribunale di Roma – Sentenza n. 9863 del 21.06.2022
La diffusione del post diffamatorio sui social e la pervasività del mezzo utilizzato (internet) con le relative potenzialità, nonché la professione svolta e la notorietà del soggetto danneggiato, in una alla accertata gravità delle affermazioni false per la loro incidenza sull’identità professionale, morale e civile di quest’ultimo, sono tutte circostanze che possono comunque essere valutate secondo l’id quod prelumque accidit quali argomenti di prova sufficienti a far presumere che il comportamento illecito abbia cagionato un danno non patrimoniale limitatamente alla sofferenza prodotta dalla falsità delle notizia diffuse (danno morale soggettivo).
Il Tribunale di Roma interviene efficacemente in una controversia che ha assunto rilevanza anche e soprattutto per il ruolo e la visibilità pubblica dei soggetti interessati, andando a sanzionare la condotta diffamatoria del rappresentante di una delle più note associazioni di tutela in ambito bancario per alcuni post offensivi e denigratori che lo stesso aveva pubblicato sulla piattaforma Facebook nei confronti di un noto giornalista di inchiesta.
I giudici romani, dunque, all’esito del doveroso accertamento della natura denigratoria ed offensiva delle affermazioni rese dall’autore dei post, hanno giustamente sottolineato come alcune circostanze di fatto, quali la non archiviazione dell’esposto presentato dal danneggiato dinanzi all’AGCOM, la particolare diffusione degli stessi post su Facebook, la pervasività del mezzo utilizzato con le relative potenzialità di diffusione e di effetti moltiplicatori delle notizie e delle offese, nonché la professione svolta e la notorietà dello stesso danneggiato, assumano comunque rilevanza ai fini della determinazione del danno da tutela della persona diffamata.
I Giudici laziali, quindi, pur rilevando come dette circostanze, se non accompagnate da specifiche valutazioni in ordine alle ripercussioni effettivamente subite nell’ambiente di lavoro e nelle relazioni sociali, non possono essere valutate ai fini della quantificazione del danno patrimoniale risarcibile, sottolinea come siano comunque argomenti di prova sufficienti a far presumere che il comportamento illecito abbia cagionato un danno non patrimoniale limitatamente alla sofferenza prodotta dalla falsità delle notizie diffuse (danno morale soggettivo).
Il Tribunale, infatti, evidenzia come la diffusività della notizia attraverso il web, la notorietà pubblica del danneggiato, l’entità e la natura del fatto attribuito rispetto alla reputazione di quest’ultimo siano elementi di prova presuntiva assolutamente sufficienti per consentire il ristoro del danno morale o non patrimoniale sofferto, liquidabile anche in via equitativa secondo il prudente apprezzamento del giudice di merito non sindacabile in sede di legittimità, pur con l’esclusione del risarcimento del danno patrimoniale se non fondato su un adeguato supporto probatorio.
Si tratta, dunque, di una importante presa di posizione della giurisprudenza di merito a tutela della reputazione e della onorabilità del soggetto diffamato, intesa nella sua esclusiva essenza giuridica sì da sostanziare, appunto, la risarcibilità ex se del danno morale o non patrimoniale, a prescindere del tutto dalla sussistenza o meno di quello patrimoniale. SLS – StudioLegaleSodo da tempo si occupa di simili problematiche e della tutela dell’identità personale, anche digitale, in generale.