Giudice Dott. Roberto Beghini – Tribunale di Padova – Sentenza del 28 aprile 2022
Il Tribunale di Padova, con Sentenza del 28 aprile 2022, ha ordinato la riammissione sul posto di lavoro dell’operatrice socio sanitaria sospesa dal servizio e dalla retribuzione dal 15 agosto 2021 per non aver assolto l’obbligo vaccinale, del quale il Giudice ha per l’appunto rilevato l’illegittimità ai sensi dell’ordinamento costituzionale italiano ed europeo.
L’imposizione in questione, infatti, peraltro prorogata per i profili professionali che operano all’interno di strutture residenziali, socio-assistenziali e sociosanitarie fino alla fine dell’anno in corso, è stata ritenuta contraria a diverse norme della Costituzione della Repubblica Italiana, a partire dal principio di proporzionalità, in quanto misura «inidonea – e quindi irragionevole ex cit. art. 3 Cost. – a raggiungere lo scopo che si prefigge: evitare la diffusione del virus nell’ambiente di lavoro, precisamente alle persone fragili, ospiti della struttura», rivelandosi pertanto quale «obbligo inutile e gravemente pregiudizievole del suo diritto all’autodeterminazione terapeutica ex art. 32 Cost., nonché del suo diritto al lavoro ex artt. 4 e 35 Cost.» (e si potrebbe anche aggiungere del diritto ad una retribuzione idonea e dignitosa di cui all’art. 36 Cost.) date le conseguenze che ne derivano sotto il profilo lavorativo.
Entrando nel dettaglio, l’attenzione del Giudice si sofferma sulla finalità delle disposizioni in questione (artt. 4, 4-bis e 4-ter, D.L. n. 44 dell’1 aprile 2021), dichiaratamente rappresentata dalla prevenzione non tanto della salute dei lavoratori in sé e per sé, cui non è stato ad oggi imposto un generalizzato obbligo, quanto a quella degli ospiti perchè soggetti fragili (comma 1, art. 4).
E il riconoscimento normativo di siffatta finalità può ritenersi apparentemente in linea con la costante e richiamata giurisprudenza costituzionale, che ammette compressioni alla libertà di autodeterminazione del singolo soltanto se giustificate dall’esigenza di tutela della salute collettiva o altrui; la presunta illegittimità, però, si evince dall’inidoneità della misura stessa a perseguire il legittimo obiettivo assunto, posto che i dati forniti dal Ministero della Salute, oltre alle evidenze empiriche, dimostrano la contagiosità dei soggetti vaccinati, e dunque «l’irragionevolezza della norma (che impone il vaccino, n.d.r.) ai sensi dell’art. 3 Cost.» e, sul lato delle fonti comunitarie, dell’art. 52, comma 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, posto che l’obbligo vaccinale viola palesemente i tre corollari tramite cui la consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia UE declina il principio di proporzionalità, ovvero le condizioni di attitudine, necessità e proporzionalità in senso stretto.
L’inefficacia della vaccinazione obbligatoria rispetto al fine perseguito rende poi evidente il contrasto della misura anche rispetto «all’art. 32 Cost., poiché, come visto, non previene il contagio e non tutela quindi la collettività (nella specie, i soggetti fragili)», configurandosi al più come strumento di tutela, neppure completa, del soggetto vaccinato.
Né a sostegno della tesi opposta, che fa dunque leva sull’utilità della vaccinazione, può addursi il fatto che la medesima riduca il rischio di contrarre la malattia in forma grave e dunque il rischio di ospedalizzazione, con conseguente «minore aggravio dei ricoveri ospedalieri, in un contesto di risorse limitate», considerata la pacifica constatazione secondo cui le deroghe al principio di autodeterminazione terapeutica costituzionalmente garantito possano essere ammesse sì qualora si rendano necessarie per la tutela della collettività ma non anche per esigenze di contenimento e salvaguardia della finanza pubblica sul fronte delle spese sanitarie.
A sostegno della propria tesi, inoltre, il Tribunale richiama la disparità di trattamento che scaturisce dalle norme in questione (in particolare commi 7 e 8 dell’art. 4 , D.L. n. 44/2021), e quindi la “recidiva” delle medesime nella violazione della succitata disposizione costituzionale che ospita altresì il principio di uguaglianza sostanziale: la possibilità di c.d. “repêchage”, ovvero di assegnazione della lavoratrice a mansioni che non implichino il contatto coi soggetti fragili per i quali si impone la vaccinazione, è infatti espressamente preclusa dalle suddette disposizioni emergenziali, le stesse che al contrario impongono il suddetto ripescaggio non solo a favore degli operatori socio-sanitari non vaccinati ma esentati dalla relativa campagna, ma anche del personale docente ed educativo degli istituti di istruzione, nonostante il rischio di contagiosità sia il medesimo in ogni ipotesi.
Sviscerati quindi a fondo i potenziali profili di illegittimità delle norme che impongono la vaccinazione contro il Covid-19, ed esclusa ogni possibilità di lettura costituzionalmente orientata delle medesime alla luce del loro «chiaro ed inequivocabile tenore letterale», il Tribunale veneto si esime però dal rinvio della relativa questione alla Corte Costituzionale e/o alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, considerati gli analoghi e coincidenti processi già avviati presso le medesime, procedendo alla compensazione delle spese di lite per effetto del carattere di novità e complessità delle tematiche affrontate.
Ritenuto in re ipsa il periculum in mora, frutto dell’essere la retribuzione unica fonte di guadagno e dunque di un’esistenza libera e dignitosa per una lavoratrice per di più madre di due figli, il Giudice ordina in via cautelativa alla struttura l’immediata riammissione in servizio dell’operatrice sospesa, condizionata, tuttavia, all’effettuazione di un esame per la rilevazione del virus ogni 72 o 48 ore a seconda che trattasi di test molecolare o test antigenico rapido.
Nel bilanciamento tra i numerosi interessi in ballo nell’ambito della gestione dell’emergenza pandemica, quindi, il Tribunale adito individua nel tampone una misura efficiente ed efficace in termini di protezione della salute dei soggetti fragili, in quanto capace di garantire la certezza, seppur non assoluta, di non contagiosità del soggetto ad essa sottopostosi, cui si potrebbe parallelamente aggiungere, quasi provocatoriamente, la funzionalità della medesima in termini di contenimento della spesa pubblica, essendo essa a carico del cittadino. E ciò, nonostante residui ugualmente una contenuta percentuale di errore nel risultato finale fornito dal test, specie se antigenico rapido, comunque ritenuto maggiormente idoneo nel perseguimento dell’obiettivo di tutela della salute dei soggetti fragili, poiché la «garanzia fornita dal tampone, ripetesi, è senz’altro relativa; ma quella data dal vaccino è pari a zero».