Giudice Dott.ssa Manuali Lina – Tribunale di Pisa – Sentenza n. 1842/2021
La delibera dichiarativa dello stato di emergenza per il rischio di contagio da Covid-19, adottata dal Consiglio dei Ministri il 31.01.2020, è illegittima, come illegittimo deve ritenersi il D.P.C.M. 9 marzo 2020 che ha imposto, su tutto il territorio nazionale, «misure urgenti di contenimento del contagio», tra cui l’obbligo di permanenza domiciliare o “lockdown”, salvo rare eccezioni.
È quanto espresso, con rigore giuridico e copiosa robustezza motivazionale, dal Tribunale di Pisa nella Sentenza n. 1842 dello scorso anno (le cui argomentazioni sono state pubblicate solo pochi giorni addietro), nell’ambito di un processo penale a carico di due individui, perseguiti per violazione del divieto di spostamento reso obbligatorio dal suddetto D.P.C.M., con in aggiunta l’accusa, per il conducente dello scooter, di oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale.
La condanna per quest’ultimo, resa inevitabile dallo scontro con il veicolo in motore contro lo sportello dell’auto delle forze dell’ordine, per di più ridotta da sei a quattro mesi considerata la condotta collaborativa del reo, passa necessariamente in secondo piano a fronte della dirompenza che assumerà, nel panorama giurisprudenziale nazionale e non solo, l’assoluzione dei soggetti incriminati dall’addebito di «Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità», ex art. 650 c.p., per violazione del divieto di circolazione e dell’obbligo di permanenza domiciliare imposti su tutto il territorio nazionale dalla prima metà di marzo fino ai primi giorni di maggio 2020.
Per giungere a tale conclusione, il Giudice monocratico ha dovuto spendere pagine e pagine della sentenza per motivare adeguatamente la dichiarazione di illegittimità della delibera del Consiglio dei Ministri del 31.01.20 con cui è stato proclamato lo stato di emergenza, e del D.P.C.M. 9 marzo 2009 che ha imposto la permanenza domiciliare all’intera nazione, nonché di tutti i conseguenti provvedimenti amministrativi e D.P.C.M. che in essi trovavano fondamento.
Rilevata, preliminarmente, la necessità di provvedimenti eccezionali ed urgenti per fronteggiare tempestivamente l’emergenza pandemica, i quali tuttavia hanno compresso alcune libertà fondamentali che «costituiscono il “nucleo duro” della Costituzione stessa, tanto che, secondo la dottrina maggioritaria (Cfr. C. Mortati, in “Una e indivisibile”, Milano, Giuffré 2007, p. 216; G. Azzariti, in Revisione Costituzionale e rapporto tra prima e seconda parte della Costituzione, in Nomos, Quadrimestrale di teoria generale, diritto pubblico comparato e storia costituzionale, n. 1-2016, p. 3.) non sono revisionabili nemmeno con il procedimento di cui all’art. 138 Cost. Revisione della Costituzione», il Giudice in composizione monocratica ha accertato come una simile compressione possa, ai sensi del medesimo dettato costituzionale, essere disposta solo per legge, dilungandosi poi sull’analisi delle cautele predisposte a garanzia dei diritti fondamentali dell’individuo.
Se infatti, da un lato, la libertà del singolo è resa “inviolabile” (“Habeas Corpus”) dall’art. 13 Cost., che la protegge con tre baluardi, ovvero la duplice riserva di legge e di giurisdizione e l’obbligo di motivazione, dall’altro il diritto di circolazione e movimento è garantito dall’art. 16 della Carta costituzionale, il quale ammette invece soltanto «le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza», laddove “in via generale” viene dal Tribunale ricondotto, con richiamo a Corte Cost. n. 21/1956, «alla generalità dei cittadini, non a singole categorie» (pag. 29 della sentenza in commento).
Presupposto normativo della delibera dichiarativa dello stato emergenziale sono le norme contenute nel c.d. “Codice della protezione civile” (D. Lgs. n. 1/2018), che tra gli eventi di carattere emergenziale non annoverano il rischio biologico o sanitario quale il virus Sars-Cov-2, ma semmai le calamità naturali o «derivanti dall’attività dell’uomo che (…) debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo» (art. 7, lett. c); nell’esercizio di tali speciali prerogative poi, le ordinanze possono agire in deroga ad ogni disposizione vigente ma con obbligo di specifica motivazione e di indicazione delle principali norme derogate (art. 25), elementi che il Giudice non ha potuto riscontrare nei provvedimenti amministrativi sottoposti al suo vaglio, che neppure trovano fondamento nel dettato costituzionale, la quale si limita a conferire speciali poteri soltanto qualora le Camere deliberino lo stato di guerra (art. 78 Cost.).
Non rinvenendo, pertanto, in nessuna norma di legge una base idonea a consentire la dichiarazione dello stato di emergenza per motivi sanitari da parte del Consiglio dei Ministri, il Tribunale di primo grado ha pronunciato l’illegittimità della delibera del 31.01.20 e, a cascata, di «tutti i successivi provvedimenti emessi per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19». «In altri termini, viene delegato al Presidente del Consiglio dei Ministri il potere di attuare misure restrittive, molto ampio e senza indicazione di alcun limite, nemmeno temporale, con compressione di diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, quali la libertà di movimento e di riunione (artt. 16 e 17 Cost.), il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, anche in forma associata (art. 19 Cost.), il diritto alla scuola (art. 34 Cost.), il diritto alla libertà di impresa (art. 41 Cost.), e tutto ciò non con legge ordinaria, ma con un decreto del Presidente del Consiglio, che risulta inficiato da illegittimità per diversi motivi, tra cui: a) mancanza di fissazione di un effettivo termine di efficacia; b) elencazione meramente esemplificativa delle misure di gestione dell’emergenza adottabili dal Presidente del Consiglio dei Ministri; c) omessa disciplina dei relativi poteri» (pag. 26 della sentenza).
Non soddisfatto dello sgretolamento del fondamento legislativo dei vari provvedimenti amministrativi censurati, il Tribunale ha poi messo in luce i vulnus nei medesimi presenti anche ai sensi della Legge Madre in materia di provvedimento amministrativo, ovvero la L. n. 241/1990 che impone, all’art. 3, un severo e puntuale obbligo di motivazione, pena la nullità del corrispondente atto ai sensi dell’art. 21-septies, difetto riscontrato con ricorrenza nei provvedimenti esaminati dall’autorità giudiziaria, ritenuti insufficienti altresì nell’utilizzo della tecnica motivazionale “per relationem” ai verbali di volta in volta emanati dal Comitato Tecnico Scientifico, considerata inoltre la classificazione di alcuni di essi quali «“riservati”, o meglio “secretati” (come i cinque verbali datati 28 febbraio, 1 marzo, 7 marzo, 30 marzo e 9 aprile 2020, del CTS, che hanno costituito la base delle misure di contenimento adottate per l’emergenza COVID, con omissione degli allegati e documenti sottoposti alle valutazioni del CTS), vanificando di fatto la stessa procedura di accesso agli atti e rendendo impossibile la stessa tutela giurisdizionale».
Eliminato ogni dubbio circa l’illegittimità e la conseguente invalidità dei D.P.C.M. che nel tempo hanno compresso alcune libertà fondamentali, il Giudice di primo grado, forte del robusto apparato motivazionale posto a supporto delle proprie argomentazioni, ha proceduto alla disapplicazione degli stessi e all’assoluzione dei soggetti accusati di inosservanza del provvedimento dell’Autorità ai sensi dell’art. 650 c.p., e, per di più, non perché il “fatto non è più previsto dalla legge come reato”, locuzione che avrebbe comportato la trasmissione degli atti al Prefetto per la comminazione della sanzione amministrativa, bensì in formula piena perché “il fatto non sussiste”. Al di là dell’opportunità politica e/o gestionale che si può o meno riconoscere nell’operato della politica e del Legislatore, anche amministrativo, del difficile e imprevedibile periodo emergenziale, non si può trascurare come la robustezza e ampiezza dell’apparato motivazionale che il Giudice toscano ha posto a fondamento delle proprie argomentazioni induca a soffermarsi sulla portata delle stesse e, soprattutto, sulla necessità di mantenere un oculato e costante bilanciamento di tutti i diritti garantiti dalla Costituzione, che ammettono sì un bilanciamento ma a condizione di rispettare precise e determinate cautele di natura costituzionale. Induce, infine, a interrogarsi non solo in merito al futuro che la sentenza in commento potrà avere durante il secondo grado di giudizio, ma anche circa il probabile destino delle ulteriori misure adottate in via emergenziale dal Governo e dal Parlamento e, in particolare, di quelle di natura legislativa.