Cassazione Civile, Sezione Sesta, Sottosezione 1, Ordinanza n. 5932 del 04.03.2021
Il rifiuto ad un impiego che non sia anche esattamente adeguato al titolo di studio ed alle aspirazioni individuali da parte del coniuge che reclami l’assegno di mantenimento a carico dell’altro coniuge separato si pone manifestamente in contrasto con il disposto dell’art. 156 c.c. poiché, in tema di separazione personale dei coniugi, l’attitudine al lavoro proficuo dei medesimi quale potenziale capacità di guadagno costituisce sempre elemento a se stante che è indispensabile valutare ai fini delle statuizioni afferenti l’assegno di mantenimento, dovendo il giudice del merito accertare l’effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale.
Con questa significativa pronuncia la Corte Suprema “bacchetta” efficacemente la Corte di Appello che nel caso specifico aveva riconosciuto, in favore della moglie ed a carico del marito, un assegno di mantenimento senza, tuttavia, valutare in maniera corretta e completa tutte le risultanze di causa con particolare riguardo al rifiuto dalla stessa opposto avverso le molteplici possibilità lavorative che pure le erano state proposte dal coniuge obbligato, integrando così un atteggiamento di colpevole inerzia per la ricerca di un lavoro che le assicurasse la possibilità di contribuire al mantenimento proprio e dei figli. In particolare, i Giudici di legittimità stigmatizzano le conclusioni della Corte territoriale che abbiano dato, nel caso considerato, addirittura piena giustificazione al rifiuto di impiego solo perché astrattamente ritenuto non adeguato al titolo di studio ed alle aspirazioni individuali del coniuge beneficiario sul presupposto che “il profilo individuale… non va mortificato con possibili occupazioni inadeguate” e così finendo per legittimare il diritto del coniuge richiedente a rifiutare ogni lavoro, in quanto “non ogni proposta può ritenersi pertinente ed adeguata” perché “….svilente che una persona laureata, in precedenza avendo goduto di un livello di vita invidiabile”, in seguito possa essere “condannata al banco di mescita o al badantato”. La Corte Suprema, invece, ha espressamente richiamato il disposto di cui all’art. 156 c.c. e, quindi, il dovere del giudice di merito di accertare sempre l’effettiva possibilità di svolgimento di una attività lavorativa retribuita anche mediante professionalità diverse ed ulteriori rispetto a quelle precedenti o al proprio titolo di studio nonché l’eventuale circostanza che lo stesso coniuge beneficiario abbia ricevuto, dopo la separazione, effettive offerte di lavoro o che avrebbe potuto concretamente procurarsi una specifica occupazione lavorativa. Secondo i Giudici di legittimità, pertanto, il compito del Giudicante nella fase di merito deve essere fondato su elementi probatori certi e non su mere supposizioni e su rilievi del tutto astratti che giungano a negare dignità al lavoro manuale o di assistenza alla persona senza alcuna attenzione sulla capacità o meno di procurarsi redditi adeguati, o sull’esistenza o meno di proposte di lavoro o sull’eventuale rifiuto immotivato di accettarle o comunque sull’attivazione concreta alla ricerca di una occupazione lavorativa. Lo StudioLegaleSodo da anni segue queste problematiche ed offre alla propria clientela adeguata assistenza anche giudiziale in materia.